LA COMUNICAZIONE MASSMEDIALE

di Giuseppe Joh Capozzolo

La comunicazione massmediale contemporanea tra televisione e social network
L’occasione concessami di scrivere un articolo sulle colonne del Blog ufficiale di
Apuania Film Commission, mi regala l’opportunità di riflettere intorno a quelli che paiono
essere i veicoli più importanti nella contemporaneità per la produzione di cultura e per la
sua diffusione, ovvero la televisione e i social network. Ciò è motivo personale di
approfondimento su temi che mi coinvolgono personalmente sia in quanto ideatore e
conduttore di un programma televisivo su argomenti culturali e artistici, sia perchè la mia
professione di curatore d’arte multimediale non può prescindere dall’impiego di Internet,
in particolare, della comunicazione all’interno dei social network.
Poiché queste due forme di comunicazione rientrano nel novero dei mass media o
mezzi di comunicazione di massa, credo sia opportuno affrontare l’argomento dapprima
in maniera più generale rivolgendo l’attenzione a questo complesso sistema comunicativo
che tanto ci coinvolge e che è ormai connaturato alla nostra stessa esistenza, sia come
singoli individui sia come membri di una collettività sempre più ampia, che travalica i
tradizionali confini della dimensione umana di relazione.
Riflettere sul sistema massmediale e sulla sua immensa diffusione che ha segnato
l’inizio di una nuova era della civiltà umana, porta inevitabilmente a confrontarsi con le
sue contraddizioni intrinseche, che da una parte lo presentano come vera e propria
occasione di crescita per l’uomo, dall’altra lo dipingono come potenziale forma di
maggiore asservimento e di controllo sociale.
Il cambiamento degli stili di vita e dei valori di riferimento indotti dai mass media e
che caratterizzano oggi l’intera cultura di massa, è segnato da un passaggio
fondamentale nel nostro sistema di apprendimento e di percezione: dal mondo della
parola, “germe” responsabile dell’evoluzione umana, si è passati al mondo
dell’immagine, caratteristica di questo ultimo tempo, e mentre il primo universo, quello
della parola, punta sull’approccio logico, l’esposizione, l’obiettività, il senso di distacco
rispetto all’informazione veicolata, quello dell’immagine si impernia sulla fantasia, sul
racconto, sulla simultaneità, sulla gratifica immediata, sulla rapidità e la parzialità della
risposta emotiva.
Tra gli strumenti della comunicazione di massa, naturalmente, rientra a pieno titolo
la televisione, principale artefice della cultura di massa sino all’avvento dei c.d. “nuovi
media”, introdotti a seguito della diffusione di Internet e delle sue forme di relazione
sociale digitale. Come avrò modo di ricordare, la televisione, sotto un profilo sociologico
e pedagogico, è sempre stata vista in termini quasi apocalittici più che strumento di
evoluzione, e ciò ha alimentato complessi e animati dibattiti sul suo ruolo e sul suo futuro.
Se Internet costituisce, per molti studiosi, la soluzione al depauperamento del
sistema di valori di massa indotto dalla televisione e dalla cultura dell’immagine,
attraverso la reintroduzione della parola scritta su cui si fonda il social networking, è pur
sempre vero che secondo altri studiosi televisione e internet costituiscono medium tra
loro distanti e privi di un rapporto di continuità.
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Stando a quest’ultimo punto di vista, intanto, se la televisione, mezzo effimero per
antonomasia, genera contenuti irripetibili su cui non è dato il tempo riflettere, Internet dal
canto suo è un medium intensivo che consente, per sua natura, spazi di approfondimento
sino ad oggi sconosciuti alla televisione e agli altri mezzi di comunicazione di massa.
In effetti, accogliendo quest’ultima posizione, non credo sia agevolmente possibile
collocare questi due medium su uno stesso piano, sia per la diversa natura che li
contraddistingue, sia per il differente impiego che ne fanno gli individui: se la televisione
si esplica in superficie, internet vive in profondità e questo dualismo superficie-profondità
caratterizza in definitiva i due mass media in relazione ai contenuti, che tenderanno ad
essere leggeri, assimilabili e più effimeri nel primo caso e complessi, consistenti e più
duraturi nel secondo caso.
Penso sia importante notare come ciò che contribuisce a distinguere un medium
dall’altro non sia soltanto il linguaggio, il pubblico “target”, il contenuto, la tecnologia
dell’apparato veicolo dell’informazione, ma anche e soprattutto il fattore tempo che
caratterizza specificamente ogni mezzo di comunicazione di massa. Basti pensare, solo a
titolo di esempio, alla notizia diffusa da un telegiornale rispetto quella che appare su un
quotidiano il giorno dopo: la notizia del telegiornale tende a privilegiare l’immediatezza
dell’informazione, il particolare ruolo svolto dalle immagini e l’attitudine a suscitare rapide
risposte emotive nel telespettatore; la notizia sul quotidiano è più approfondita, induce
alla riflessione e, cosa non trascurabile, può essere letta a vari livelli di attenzione e riletta
a volontà, nonché agevolmente conservata.
Il diverso atteggiamento del fruitore rispetto alla particolarità del medium, quindi,
mi induce a sconfessare la tendenza ad associare la cultura di massa a quella che fonda,
invece, la pubblica opinione, nel senso che la prima non potrebbe essere considerata sic
et sempliciter una propagazione dimensionale della seconda. Infatti se la pubblica
opinione ancora si forma sull’argomentazione razionale, sulla forza del ragionamento,
sull’assunzione consapevole di una posizione rispetto ad una determinata questione,
l’opinione di massa si fonda invece sulla suggestione, sulla demagogia, sulla parvenza
esteriore.
Su questa base, se la cultura di massa può essere di diritto considerata prodotto
della televisione, non si potrebbe dire lo stesso della pubblica opinione, che invece, per
le sue caratteristiche, si presterebbe meglio a formarsi all’interno di un social network o
addirittura , se vogliamo, su Wikipedia, forma di enciclopedia universale digitale dove il
sapere si fonda anche su opinioni di utenti facilmente messe in discussione.
Per concludere questa breve premessa, se internet e i suoi spazi comunicativi virtuali
richiedono per essere sfruttati una buona scolarizzazione, una buona conoscenza delle
lingue ed una certa dimestichezza con l’informatica, la televisione commerciale non
chiede alcun atteggiamento colto da parte del suo fruitore, se non una buona fetta di
tempo da trascorrere nella catarsi indotta dal dominio vorticoso della suggestione visuale.
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Il termine “Mass media” o “comunicazione di massa” rivela, abbastanza
agevolmente, la natura di processo informativo definito come “forma di comunicazione
aperta, a distanza, con tante persone in un breve lasso di tempo”1, che si fonda
sull’impiego dei media, ossia mezzi attraverso i quali avvengono i processi di mediazione
simbolica tra due o più utenti, e la cui finalità è quella di diffondere messaggi destinati,
appunto, ad un pubblico molto ampio e differenziato, con implicazioni di vario grado a
carattere sociale, economico e politico a seconda della natura del contenuto.
Più specificamente, con il termine “mezzi di comunicazione di massa” si indicano le
tecnologie che si sono sviluppate nel corso del tempo in vere e proprie forme istituzionali
per la diffusione dell’informazione e della cultura su vasta scala nella società moderna.
Anche se tali tecnologie sono comunemente note differentemente con i nomi di stampa,
radio, televisione, cinema, internet, esse sono accomunate dalla presenza di alcune
caratteristiche di base e dalla circostanza di costituire insieme un’istituzione sociale
virtuale a sé stante, che si avvicina a quelle tradizionali come, per esempio, la scuola, la
religione, la politica, la famiglia2.
L’assunzione dello status di istituzione sociale dei mezzi di comunicazione di massa,
circostanza che implica un complesso sistema di attività, di interrelazioni, di
regolamentazioni, di finalità perseguibili mediante l’adozione di specifici criteri normativi
o convenzionali, discende sia dal fatto che tali mezzi costituiscono oggi una vera e propria
industria dell’informazione che assolve ad un servizio pubblico di primaria importanza, sia
perché realizzano funzioni significative nella vita sociale e nella vita quotidiana di gran
parte degli individui.
Il concetto di “massa” cui si riferisce la forma di comunicazione in argomento,
esprime un tipo di collettività composto da un numero esteso di individui, che non hanno
conoscenza reciproca, che non sono organizzati in strutture sociali che li accomunano in
qualche modo, che si trovano in luoghi fisici diversi, e il cui unico elemento di
omologazione è costituito dal fatto puramente aleatorio di prestare attenzione ad uno
stesso oggetto di interesse reso simultaneamente disponibile.
Coerentemente, la cultura indotta da tali sistemi è indicata con l’espressione
“cultura di massa”, cultura che si caratterizza dall’alto grado di popolarità, superficialità,
consistenza effimera, finalità prevalentemente ludica a scopo di commercializzazione.
Queste connotazioni hanno portato, almeno inizialmente, a definire la comunicazione di
massa in termini piuttosto negativi, e al riconoscimento di un valore sociale inferiore
rispetto a quello di cui sono portatrici altre istituzioni sociali, o addirittura considerata
potenziale ispiratrice di aggressività e di tendenze criminali.
L’informazione e la sua libertà di esplicazione costituiscono indubbio vantaggio per il
progresso sociale. Tuttavia, è altrettanto vero che anche l’esperienza comune permette di
constatare come i veicoli di comunicazione massmediale possano facilmente
“traghettare” messaggi propagandistici capaci di persuadere con la sola forza della
reiterazione, della metafora e della similitudine, in assenza degli elementi necessari per
l’apprezzamento obiettivo della realtà da parte dei suoi destinatari.
1D. McQuail, D., 2005, Sociologia dei Media, Bologna – Il Mulino, 5a ed., p. 21, ISBN 978-88-1511956-8
2 D. McQuail, 1992, Comunicazioni di massa, Enciclopedia delle Scienze sociali – Treccani
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In altre parole i mass media, così come sostenuto da molte parti in campo
sociologico e psicosociale, si presterebbero a divenire possibile strumento di
manipolazione più o meno occulto, proprio perché, in assenza di contraddittorio, sono
capaci di dettare comportamenti, imporre scelte, alimentare desideri o aspirazioni non
rispondenti ai reali bisogni degli individui. Ecco allora che la comunicazione di massa, in
certe condizioni, potrebbe porsi addirittura in antitesi con gli stessi principi di libertà di
opinione e di scelta che, al contrario, dovrebbero rimanere impregiudicati in una società
progredita che fonda appunto il proprio grado di evoluzione sulla democratizzazione
delle possibilità di comunicazione.
In ogni caso, la riflessione attuale sul sistema dei mezzi di comunicazione di massa
ha indubbiamente raggiunto una forma più matura rispetto a quella che caratterizzava già
a livello ideologico i regimi totalitari del passato, come quello fascista o stalinista,
circostanza che permette di constatare oggi come tali media siano molto più integrati
nella struttura della società di quanto non si riconoscesse all’epoca, riflettendo la
composizione e i vari livelli di strutturazione e organizzazione sociale e promuovendo
anche un certo grado di unità e consenso.
Poiché la tecnologia costituisce elemento che accomuna tutte le forme di
comunicazione di massa, il suo progresso ne scandisce i tempi e i modi di applicazione.
In proposito appare utile riflettere sul fatto che il processo comunicativo non è soltanto un
trasferimento astratto di informazioni codificate, ma concerne contenuti informativi che
viaggiano su veicoli che costituiscono entità fisiche, come segnali, corpi materiali, flussi
elettrici, emissioni elettromagnetiche. La Natura ha dotato gli individui umani e animali di
apparati destinati a tramettere e ricevere informazioni. Tuttavia, i limiti fisiologici di questi
sistemi di comunicazione naturali hanno indotto l’Uomo, nel corso della sua Evoluzione, a
trovare soluzioni per incrementare la capacità di comunicare e di conservare
l’informazione nel tempo e nello spazio. Queste soluzioni afferiscono, appunto, alla
tecnologia.
Nei primi anni ’60 il noto studioso Marshall McLuhan riferì il termine “media”
all’universo degli strumenti di comunicazione – dalla scrittura alla televisione fino a
comprendere l’informatica – e pur non avendone mai fornito definizione rigorosa, intese
come medium “qualsiasi tecnologia che crei estensioni nel corpo e dei sensi,
dall’abbigliamento al calcolatore”. In realtà, il concetto proposto da McLuhan non
coincide propriamente con quello di apparato tecnologico di comunicazione pensato in
senso ingegneristico, “piuttosto concerne il complesso sistema costituito da un apparato
tecnologico, dalle relazioni tra tale apparato e i processi percettivi e cognitivi dell’uomo,
dal rapporto tra apparati e linguaggi della comunicazione, dalla funzione che tale sistema
assume nel contesto delle relazioni sociali”3.
3 Comunicazione linguaggi e media, Fabio Ciotti – Mediamente
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I media, in definitiva, costituiscono un fenomeno comunicativo molto complesso in
cui l’aspetto tecnologico riveste un ruolo fondamentale. Tuttavia la semplice analisi sulla
natura tecnologica dell’apparato-veicolo fisico che convoglia le informazioni nel senso
voluto, non permetterebbe di individuare la funzione che ciascun tipo di media riveste sul
piano della comunicazione individuale e sociale perché, nella sua complessità, il medium
deve essere considerato nel suo rapporto con linguaggi, i contenuti, le modalità di
emissione e di fruizione.
In relazione al rapporto tra medium ed i linguaggi che esso veicola si possono
distinguere media “monocodice”, cioè quelli che veicolano messaggi codificati in un solo
codice primario ( come un libro scritto senza il supporto di illustrazioni ), e media
“pluricodice”, che sono quelli che hanno la capacità di veicolare messaggi prodotti
mediante linguaggi diversi coordinati a loro volta dall’attività regolatrice di un nuovo
linguaggio dotato di propri caratteri specifici ( pensiamo, ad esempio, al linguaggio
cinematografico che rappresenta insieme la sceneggiatura, il linguaggio verbale e non
verbale degli attori, le immagini, la musica ). Ogni medium, poi, ha la tendenza a
generare un linguaggio comunicativo suo proprio oppure ad “adattare” alla sua
specificità le caratteristiche dei linguaggi veicolati dai differenti media esistenti prima
della sua comparsa. Altra caratteristica della comunicazione mediatica concerne il verso
del rapporto comunicativo e il rapporto quantitativo tra mittente e destinatario istituito da
ciascun medium. Nei media “orizzontali” esiste una pluralità di mittenti e destinatari che
possono scambiarsi i ruoli; il processo comunicativo è bidirezionale ed assume la forma
del dialogo. Tipico esempio di medium che si basa sulla comunicazione orizzontale è il
telefono. Nei media “verticali” o “unidirezionali”, invece, il mittente è unico mentre
molteplici sono i destinatari; il processo comunicativo avviene sempre nella medesima
direzione, nel senso che l’unico mittente produce il messaggio mentre ai molteplici
destinatari non rimane che riceverlo e decodificarlo. Questo tipo di rapporto
comunicativo, già intuitivamente, interessa quella classe di apparati della comunicazione
di cui stiamo trattando, ovvero i mass media. I media reticolari, infine, costituiscono
l’evoluzione di quelli orizzontali. Anche qui possono esserci molteplicità di emittenti e di
destinatari che possono mutuare il ruolo. Tuttavia ogni singolo emittente è anche in grado
di comunicare con molti altri destinatari, a loro volta emittenti, realizzandosi pertanto
un’interazione collettiva che già intuitivamente rimanda alla rete telematica come tipico
esempio.
Tornando alla tecnologia come elemento fondante qualsiasi sistema di
comunicazione di massa, può essere utile ricordare che la prima e più importante
tecnologia conosciuta dall’umanità fu la scrittura, già dalla sua prima comparsa quattro
millenni prima della nascita di Cristo. Le conseguenze dell’invenzione della scrittura
furono enormi, proprio per la sua capacità di influenzare profondamente le strutture
mentali e cognitive, tanto da essere nel tempo progressivamente interiorizzata come
funzione naturale e percepita sempre meno come tecnologia esterna.
Altrettanto epocale nella storia delle tecnologie della scrittura fu poi l’invenzione
della stampa da parte di Gutenberg nella metà del ‘400, fatto che ebbe effetti enormi
sulla cultura occidentale, tanto da far coincidere l’inizio della modernità con la sua
apparizione.
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Con l’invenzione della stampa fu introdotta una nuova tecnologia di riproduzione
del sapere e ciò ebbe conseguenze estremamente importanti sotto il profilo degli effetti
sociali, perché i testi, da quel momento in poi, furono ampiamente diffusi per
raggiungere un pubblico di destinatari sempre più vasto, collocato in nuove fasce sociali
e in spazi e tempi diversi da quelli propri dell’autore.
La dimensione del fenomeno diffusivo della conoscenza e delle informazioni su carta
stampata si incrementò ulteriormente dapprima con la comparsa nel XVII Sec. delle
gazzette a stampa, ossia avvisi o fogli di notizie brevi diffusi a cadenza settimanale o
quindicinale, poi con l’avvento nel XVIII Sec. dei primi giornali periodici di informazione
che, soprattutto attraverso la pratica dei nuovi ceti emergenti come la borghesia,
costituirono da subito un formidabile veicolo di idee e strumento di dialettica politica e
culturale, contribuendo in modo significativo all’emersione del concetto di “opinione
pubblica”, inteso come insieme dei punti di vista e delle propensioni di una vasta
comunità in possesso di sufficienti informazioni per formulare giudizi su questioni
politiche e culturali.
A partire dall’Ottocento il processo di evoluzione dei mezzi di comunicazione di
massa subì un’impennata impressionante, di pari passo con lo sviluppo tecnologico e
industriale. Due furono le innovazioni epocali introdotte: il telegrafo elettrico, che rese
possibile per la prima volta la trasmissione di un segnale informativo a distanza in tempo
reale, decretando così l’esordio dell’era delle telecomunicazioni, e l’invenzione del
telefono che rese possibile la comunicazione vocale a distanza. Altra grande rivoluzione
nel mondo dei mezzi di comunicazione di massa, si ebbe con lo sviluppo di un sistema
per la creazione e riproduzione di immagini in movimento che portò I fratelli Lumiere a
inventare nel 1895 il cinema, vera pietra miliare dell’industria dello spettacolo.
Grazie poi alla formidabile intuizione del genio italiano Guglielmo Marconi sulla
trasmissione di suoni a distanza attraverso la modulazioni di portanti elettromagnetiche,
iniziarono in America nei primi anni Venti del secolo scorso le prime trasmissioni
radiofoniche, che diventarono presto il primo sistema di comunicazione in grado di inviare
messaggi vocali e musicali in tempo reale e contemporaneamente nelle case di milioni di
persone in tutto il Mondo. La radio, pertanto, divenne il primo e vero mass medium della
storia e per le sue caratteristiche ebbe sin da subito un ruolo fondamentale nella
comunicazione politica, oltre a trasformarsi gradualmente in un’impresa commerciale in
grado di sostenersi mediante la pubblicità. Successivamente, negli anni Trenta iniziarono
le prime prove di trasmissione a distanza di immagini in movimento sempre mediante la
modulazione di onde elettromagnetiche, e nel 1936 la BBC inaugurò a Londra il primo
servizio di trasmissioni televisive che si sviluppò precocemente sino a divenire il mezzo di
comunicazione di massa più efficace mai sviluppato dall’umanità, contribuendo ad
ingenerare radicali trasformazioni delle abitudini di vita e delle modalità di relazione
sociale in tutto il Mondo. Poiché la forma “audiovisiva” della comunicazione
radiotelevisiva consente di superare barriere culturali, di classe, di alfabetizzazione, oltre a
varcare agevolmente confini geografici e frontiere nazionali, la radio e la televisione
furono considerate strumenti di primaria importanza per promuovere il cambiamento nei
paesi in via di sviluppo.
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L’avvento del servizio televisivo – che, come ricordato in precedenza, può essere
temporalmente riferito alla seconda metà degli anni ’30 del secolo scorso – indusse
importanti cambiamenti già nell’atteggiamento degli utenti dell’epoca.
Tuttavia, anche se è poi cresciuto notevolmente nel corso del tempo il numero dei
telespettatori anche in virtù della progressiva diminuzione del prezzo degli apparecchi
televisivi, il numero degli utenti della radio alla fine degli anni ’50 del secolo scorso
rimase ancora di molto superiore rispetto a quello della televisione.
In ogni caso, in quegli stessi anni, la diffusione del mezzo televisivo modificò già
notevolmente le abitudini delle persone e i loro stili di vita, e mentre la radio, da
strumento di fruizione collettiva (la famiglia), divenne strumento di fruizione individuale, la
televisione assunse il ruolo di “nuovo focolare domestico” innanzi al quale il gruppo
familiare si raccoglie. Questa opposta forte tendenza accentrante-decentrante della
televisione e della radio, comportò la conseguente necessità di rielaborare i programmi
radiofonici nel tentativo di mantenere gli utenti, differenziando innanzitutto i contenuti in
rapporto all’udienza (anziani, casalinghe, giovani) e alle varie fasce orarie.
La televisione come medium nacque sulla scorta del mezzo cinematografico, e
coerentemente si diffuse ai suoi albori importando tecniche ed esperienze mutuate dalla
settima arte. Tuttavia, ci si accorse presto delle enormi e nuove possibilità espressive del
mezzo televisivo che, soltanto introducendo la tecnica di ripresa a tre telecamere –
laddove, nel cinema, si era soliti lavorare con una sola macchina da ripresa – offrì nuovi
punti di vista che si riveleranno determinanti per trasformare la televisione a vero e
proprio strumento di dominio delle immagini per eccellenza. Altra importantissima
caratteristica della ripresa televisiva, di cui fu subito intuito il potenziale, è quella di
permettere di apprezzare istantaneamente ciò che la camera riprende senza attendere lo
sviluppo della pellicola, anche se tale possibilità dovette introdurre nel tempo nuove
tecniche di montaggio che rendessero fruibile le riprese nel momento stesso in cui
venivano effettuate, ossia “in diretta”. Soltanto a partire dagli anni ’60 sarà possibile
mantenere separati i due momenti della ripresa e della trasmissione con l’introduzione dei
primi registratori video e della nuova tecnica di montaggio “alla moviola”.
La televisione ha comportato cambiamenti veramente epocali sia nella vita collettiva
sia in quella familiare, fornendo un contributo culturale di notevole portata e consentendo
anche alle fasce di popolazione meno progredite, come quelle stanziate in località rurali,
di venire in contatto con il mondo esterno, con i suoi avvenimenti e la sua cultura.
In precedenza si è ricordato che la rapida ed enorme diffusione della comunicazione
di massa e dei mass media nella società moderna e contemporanea ha sicuramente
scandito le fasi di una svolta effettivamente epocale nel percorso millenario della civiltà
umana. Tuttavia una tale “rivoluzione” se da una parte costituisce presupposto di crescita
per l’uomo, dall’altra, diffonde germi di potenziale asservimento e di controllo sociale
globale prima ignoti. L’avvento delle comunicazioni di massa ha allargato a dismisura
l’orizzonte umano, trasformando anche radicalmente gli stili di vita dell’uomo, i suoi valori
di riferimento, la sua percezione del mondo.
Sempre con riferimento alla comunicazione di massa e alla loro evoluzione, abbiamo
visto come come l’involucro tecnologico si sia rapidamente sviluppato nel tempo
influenzando anche il tipo di contenuto veicolato alla massa dei destinatari.
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Nella situazione attuale, tuttavia, mentre la comunicazione di massa conosce
costantemente uno sviluppo come processo intimamente collegato all’evoluzione
tecnologica, si avverte, d’altra parte, una stagnazione importante della comunicazione
come oggetto, come contenuto.
Il rischio di questa singolarità è di trovarsi a fronte una vera e propria babele
comunicativa senza che si dia luogo ad alcuno (o quasi) scambio realmente informativo.
L’accennata situazione, se riguarda i mass media in generale, si attaglia in particolare alla
comunicazione televisiva, che sicuramente ha avuto nel corso degli ultimi decenni uno
sviluppo tecnologico veramente sorprendente, ma che, sul fronte contenutistico, non ha
conosciuto alcun progresso.
Le condizioni fondamentali per la comprensione di un messaggio sono
essenzialmente due: 1) la conoscenza del significato delle parole e dei concetti utilizzati;
2) la conoscenza del contesto di riferimento. Queste due condizioni non sono isolate,
bensì devono esistere contemporaneamente. Questo perché, già intuitivamente, il senso
di un qualsiasi enunciato può essere compreso non soltanto attraverso il significato delle
parole ma anche con la cognizione del contesto di riferimento. Nella comunicazione
televisiva la frequente mancata specificazione del contesto determina, nel senso
predetto, una situazione di incomunicabilità, e ciò è riscontrabile soprattutto nei
telegiornali: nella fascia oraria di trenta minuti si susseguono a ritmo incalzante le notizie
del giorno e la loro velocità di enunciazione non permette la comprensione del testo da
parte del telespettatore. Infatti, il brevissimo spazio temporale dedicato ad ogni singola
notizia ne impedisce la necessaria corretta contestualizzazione. La conseguenza
estremamente negativa di una tale situazione è il risultato di una regolare disinformazione
dello spettatore e la dimensione quasi totalmente autoreferenziale della programmazione
televisiva, in special modo i telegiornali. Se poi si ammette che anche i telegiornali
inseguono i dati di ascolto offerti dalle agenzie specializzate, che registrano impennate
proprio in corrispondenza delle notizie più “spettacolarizzate” rispetto alle altre, allora il
quadro diventa sempre più negativo.
La velocità del flusso di informazioni quindi, tipica del sistema di comunicazione
televisiva, produce spesso messaggi difficilmente interpretabili secondo metri di
riferimento univoci e stabili. Ma a complicare le cose si aggiunge un altro fattore
determinante, che è quello del primato dell’immagine favorito proprio dalla caratteristica
di medium audiovisivo trasportato dal mezzo televisione. L’evoluzione del sistema di
comunicazione televisiva ha visto crescere sempre più il peso dell’immagine a scapito
della comunicazione scritta, facendo si che il ruolo delle immagini si trasformasse da
supporto alla parola scritta a quello di messaggio a sé stante.
In definitiva, l’immagine è ovunque e le icone prodotte dalla televisione sono
entrate addirittura a fare parte della dimensione esistenziale di ciascun individuo, così
come ben espresso dagli artisti della Pop Art già agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso.
Accade quindi che l’immagine, anziché continuare ad assolvere ad una funzione
meramente sussidiaria rispetto al messaggio e ai suoi contenuti, diventa oggetto primario
della comunicazione e quindi si fa essa stessa messaggio, mentre il contenuto esplicativo
diventa dettaglio quasi ininfluente.
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Il fatto stesso dell’onnipresenza dell’immagine ha fatto sì che molti intellettuali
identificassero anche una sorta di ideologia nuova legata al fenomeno della
globalizzazione dell’immagine. Lo scrittore Milan Kundera, per esempio, parla al principio
degli anni ’90 del secolo scorso di “imagologia” per descrivere quella che altrimenti può
essere definita l’ideologia propria della “civiltà delle immagini”, dominata dai sondaggi di
opinione e dai meccanismi pubblicitari che influenzano convinzioni e tendenze.
A fronte della presenza imperante e autoreferenziale dell’immagine nella nostra
società ci si potrebbe chiedere se la ragione conserva ancora un posto. Secondo il
politologo Giovanni Sartori, essendo la televisione uno strumento antropogenetico,
avrebbe creato un nuovo tipo di uomo, l’homo videns, che, a differenza dell’homo
sapiens, difetta della capacità di astrazione attraverso i simboli e quindi della capacità di
rappresentare un pensiero razionale. L’assenza di astrazione e di rappresentazione incide
a sua volta sulla funzione argomentativa, ossia l’attitudine, non presente negli animali, di
fare affermazioni criticabili, di proporre teorie. Conseguentemente, avremmo perso anche
la capacità critica di riparare i nostri errori mettendo a confronto le esperienze individuali
con quelle altrui attraverso il linguaggio.
Se si pensa che il grande filosofo ed epistemologo Karl Popper individuava tra
un’organismo primordiale come l’ameba e Albert Einstein la sola differenza sostanziale
della capacità umana di esprimere conoscenza attraverso un linguaggio, si arguisce quali
potrebbero essere gli effetti del progressivo indebolimento delle capacità linguistiche e di
astrazione dell’individuo a fronte di un sistema comunicativo dominante, come quello
televisivo, fondato sull’induzione catartica immaginifica priva di connessioni valide sul
fronte razionale.
Ogni programma televisivo ha uno stesso preciso obiettivo, anche se sostenuto da
differenti motivazioni: catturare il più possibile l’attenzione dei telespettatori. Questa
finalità è raggiunta elaborando programmi in cui le immagini, giocando un ruolo basilare,
possano offrire al pubblico la necessaria suggestione in funzione catalizzante
dell’attenzione. Il problema è che il meccanismo della ricerca di audience a tutti i costi
potrebbe rendere i detentori dello strumento televisivo, così come pare avvenire sempre
più spesso, effettivamente irresponsabili nei confronti del pubblico. Sembra, infatti, che la
realtà sia molto meno sensazionale delle immagini televisive scelte e montate ad arte allo
scopo di suscitare forte suggestione e impatto emotivo. Lo stesso Popper, in argomento,
sostiene la necessità di una limitazione del potere di condizionamento della televisione a
fronte di una degenerazione provocata dalla corsa verso indici di ascolto sempre più alti
allo scopo di vincere la concorrenza. Altro tema su cui interviene Popper a proposito di
condizionamento negativo della TV, è l’accostamento di tale mezzo di comunicazione di
massa alla violenza, relazione che, in effetti, sembra trovare oggi riscontro in ambito
scientifico. Più nello specifico, pare che l’esposizione di soggetti in età infantile ad
immagine violente provochi lo sviluppo, per assimilazione, di istinti aggressivi, mentre, al
converso, la visione di programmi informativi opportunamente concepiti per indurre
stimoli cognitivi, determini un notevole innalzamento del rendimento scolastico.
Purtroppo è evidente come la prevalenza dei programmi televisivi oggi diffusi abbia
carattere violento, comprese le fasce orarie (c.d. protette, sic!) in cui maggiore è la
presenza di minori innanzi agli schermi televisivi.
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Sul fronte più eminentemente politico-istituzionale è interessante accostare il
“problema” televisivo a quello della garanzia democratica. La televisione, evidentemente,
è luogo preferenziale in cui avviene la competizione politica. E anche se i politici
continuano a incontrare il proprio elettorato o potenziale elettorato nelle piazze, nelle
pubbliche manifestazioni, è proprio la televisione a fungere da campo di gioco dell’ultima
partita.
Questa circostanza produce intanto un effetto delocalizzante della politica, nel senso
che la dialettica che la riguarda avviene al di fuori di un luogo determinato. Ciò determina
un sensibile distacco del cittadino dalla dimensione pubblica, separazione che erode o
contribuisce ad erodere il concetto di partecipazione, con tutte le implicazioni che tale
situazione comporta sul senso di appartenenza alla comunità e sulla conseguente rinuncia
alla tematizzazione dei doveri che gli individui hanno reciprocamente gli uni verso gli
altri. Infatti il paradigma contrattualistico, imperante nella contemporaneità politica, è
incentrato unicamente sul principio morale-giuridico del neminem laedere, e anche se
tale principio costituisce condizione fondamentale per la pacifica convivenza civile, esso
non è sufficiente a garantire la pace sociale, in quanto non offre le condizioni
prodromiche per sviluppare strategie atte a ridimensionare le diseguaglianze presenti
nella società e quindi la tendenza in atto – e in stato ormai avanzato – di disgregazione
della comunità. La televisione, secondo il punto di vista di molti studiosi, avrebbe
contribuito sicuramente all’accelerazione di tale processo di disgregazione sociale e
intellettuale, contribuendo a formare nel complesso un’opinione pubblica politicamente
apatica e qualunquista.
Sempre sul fronte politico, non si può sottacere come la spinta alla
spettacolarizzazione televisiva abbia comportato il fenomeno della c.d.
“personalizzazione”: in TV non si discute più tanto sulle idee o i programmi di partito,
quanto invece sulle caratteristiche personali degli uomini politici, come si vestono, quanto
sono simpatici, quanto sono furbi, che aspetto fisico hanno, come reagiscono alle
provocazioni della satira, senza tener conto del fatto che la stessa esigenza di
drammatizzare un dibattito per raggiungere il voluto indice di ascolto, comporta spesso la
sollecitazione mirata di atteggiamenti e reazioni aggressive del personaggio o politico di
turno, in modo del tutto incongruo rispetto a quella che dovrebbe essere la dimensione
di dignità intrinseca alla dialettica politica.
In ogni caso, nonostante gli aspetti indubbiamente negativi del mondo televisivo,
potrebbe essere altrettanto fuori luogo bollare definitivamente come negativa la cultura
che la televisione ha prodotto e continua a veicolare. E’ innegabile infatti come la cultura
dell’immagine abbia avuto un ruolo emancipativo per la società, così come l’arte divenne
riproducibile e disponibile alle masse grazie alle nuove tecniche della fotografia,
perdendo quella sacralità da sempre attribuitale dalla cultura aristocratica.
Molti autori hanno sostenuto, comunque, che un risultato di mitigazione della
situazione di “insofferenza” mediatica indotta dalla televisione potrebbe ottenersi
ristabilendo un proficuo equilibrio tra immagine e parola scritta, in modo che il vortice
ipnotico indotto dalla rapidità delle immagini sia bilanciato in qualche modo dall’uso
della scrittura, medium più adatto alla riflessione.
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Pur avendo la TV una diversa natura, c’è chi sostiene che la Grande Rete potrà
assolvere questo compito, proprio perchè al suo interno riveste un ruolo centrale proprio
il testo scritto, che, grazie anche alla presenza di sistemi di collegamento ipertestuale e
ipermediale, rende agevole l’approfondimento di contenuti.
Se “anticamente” la comunicazione di massa avveniva solo mediante strumenti nella
disponibilità di determinati soggetti che si rendevano in tal modo gli esclusivi agenti
condizionanti la pubblica opinione, oggi l’informazione globale si svolge anche nel
contesto di quelle immense agorà virtuali capaci di radunare e mettere in relazione
moltitudini di individui che si scambiano informazioni senza soluzione temporale o di
confine geografico. Mi riferisco naturalmente ai social network, frutto di quella che è stata
l’evoluzione orizzontale delle tecnologie di comunicazione di massa, che, avendo
permesso a tutti di confrontarsi al cospetto di una globalità tutt’altro che statica, ha in
definitiva contribuito a rendere la comunicazione di massa un fenomeno di portata
universale e ormai irrinunciabile nella nostra quotidianità.
Prima di trattare specificamente della comunicazione in networking, credo sia bene
premettere una distinzione importante che se non acclarata potrebbe ingenerare
confusione sull’uso corretto dei termini. Quando si parla di social network ci si riferisce
alla rete di relazioni tra un gruppo di individui mediante Internet. Quando si parla invece
di social media ci si riferisce agli strumenti che permettono di comunicare con un
pubblico, sempre mediante Internet. Immaginando i due concetti come due insiemi, si
potrebbe dire che l’insieme dei social media comprende quello dei social network in un
rapporto di genus ad speciem. Per creare reti di relazione sociale (network) sono necessari
strumenti che lo permettano (media), ossia le tecnologie o pratiche online che le persone
adottano per condividere contenuti testuali, immagini, video e audio. I social media oggi
disponibili sul web sono, appunto, i social network (Facebook, LinkedIn, Google+, etc.), i
microblogging come Twitter e i singoli blog, le content communities (Youtube, Flickr, etc.)
i progetti di collaborazione aperta (es. Wikipedia), le piattaforme di giochi sociali e di vite
virtuali come ad esempio Second Life.
L’avvento dei social network ha generato nuovi codici comunicativi che si
differenziano nettamente da quelli prima conosciuti. Tratto distintivo e caratterizzante la
comunicazione nei social network è l’immediatezza. Prima dei social network, le mail
costituivano gli unici servizi internet di messaggistica e, anche se simili nella forma alle
lettere classiche, a differenza di queste vengono recapitate quasi immediatamente e con
la stessa celerità ottengono risposta o quanto meno notifica di ricezione.
Con il passare del tempo, i social network hanno conosciuto grandissima diffusione
perché alla caratteristica di immediatezza che condividevano con le mail si è aggiunta
anche la possibilità di avere un pubblico e quindi di uscire dalla dimensione di intimità
comunicativa tra due o più interlocutori determinati tipica delle relazioni mediante posta
elettronica.
Altra caratteristica che ha permesso a Twitter, Facebook, Instagram, tanto per citarne
alcuni tra i più noti, di avere una diffusione esplosiva, è che la comunicazione in tali ambiti
non avviene soltanto mediante testo scritto, come per la mail, ma anche e soprattutto
tramite immagini o addirittura video, circostanza che rende tale tipo di comunicazione più
agevole, più efficace e più diretto, oltre a potersi svolgere su canali linguistici diversi da
quelli usuali.
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Per entrare a far parte della comunità di un social network è necessario effettuare
una registrazione, compilando gli appositi form di richiesta dati per la creazione di un
nuovo profilo utente. Una volta istituita questa “identità personale” e attribuitale un
“avatar”, ossia un’immagine grafica o fotografica che personifica l’utente, è possibile
iniziare a parlare di sé, pubblicare notizie, immagini, link, musica, video, partecipare a
gruppi tematici e alle relative discussioni, interagire con altri utenti in vari modi, ed è
possibile anche ricercare utenti e/o temi specificando i relativi criteri negli appositi motori
di ricerca interni.
Ecco perché i social network si configurano come vere e proprie piazze virtuali che
amplificano la nostra possibilità di comunicare. Questo è vero anche in ambito politico e
sociale, e gli utenti, interagendo e condividendo sentimenti, opinioni, punti di vista,
contribuiscono fattivamente alla creazione di una pubblica opinione su fatti rilevanti della
vita, mentre la televisione, come si è visto, pare non fornire più alcun apporto in tal senso.
L’avvento dei social network ha letteralmente rivoluzionato il modo di fare
comunicazione digitale anche perché integrano in un solo “contenitore” informazioni , dal
profilo utente al blog, dalla messaggistica alla galleria multimediale, che altrimenti non
sarebbe stato possibile avere in altri ambiti. E’ inoltre esaltata e realizzata concretamente
nei social network una delle caratteristiche fondanti il cosiddetto Web 2.0, cioè la
possibilità di interazione attiva dei membri nella costituzione di comunità virtuali.
La Community si forma, appunto, con l’aggregazione di gruppi di utenti sulla base
di interessi comuni, al fine di scambiarsi informazioni, confrontandosi, attivando modalità
di interazione interna e dando impulso alla creazione e sviluppo di nuove Community più
specifiche in relazione ai temi trattati.
L’appartenenza ad una Community sviluppa nell’utente un vero e proprio senso di
identificazione e di condivisione sociale, e lo inducono ad esprimere la propria personalità
attraverso le diverse forme di interazione e di scambio di contenuti e di conoscenze.
Questa situazione, prima sconosciuta nel mondo della comunicazione di massa, permette
agli utenti delle Community di accedere ad un enorme bagaglio culturale, sociale ed
emozionale in continua formazione.
L’impiego dei social network ha avuto un andamento più che esponenziale negli
ultimi anni, coinvolgendo un numero sempre maggiore di popolazione. Tuttavia, mentre
le statistiche riferite al rapporto con la televisione esprimono dati che, come abbiamo
visto, testimoniano effetti non proprio positivi sugli utenti, soprattutto quelli più giovani,
molte ricerche confermano che la partecipazione alle comunità virtuali è centrale nello
sviluppo dei ragazzi proprio sotto il profilo valoriale, perché a dispetto delle
caratteristiche di complessità e velocità proprie del mondo reale, quello virtuale consente
in qualche modo di “domare” il tempo, e di riflettere ed immedesimarsi nell’analisi di
questioni e avvenimenti importanti della vita che altrimenti non sarebbe possibile fare.
Non va sottaciuto comunque che anche i social network possono presentare pericoli
la cui sottovalutazione può esporre soprattutto più giovani a situazioni deleterie anche
gravi per la propria personalità. Una ricerca condotta nel 2010 da Microsoft in undici
paesi europei, Italia compresa, il 79% dei ragazzi europei ha almeno un profilo su un
social network e il 43% ritiene di postare e condividere informazioni in piena sicurezza, al
punto di inserire online anche dati e riferimenti personali particolarmente sensibili.
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E’ chiaro che condividere senza la necessaria attenzione anche una sola di queste
informazioni sensibili espone gli utenti ad eventuali malintenzionati che ne
approfitterebbero per aprire un pericoloso contatto. Nonostante le evidenze di reali
minacce che corrono sul Web, il 59% dei genitori dichiara di essere sereno sulla
navigazione online dei propri figli, convinto di adottare tutte le precauzioni per evitare la
diffusione di informazioni la cui intercettazione potrebbe rivelarsi perniciosa.
Un primo fondamentale problema della comunicazione sui social network, così della
presenza online in generale, concerne proprio la scelta delle informazioni personali da
condividere. Infatti, anche se i social network diano l’impressione di uno spazio quasi
personale o di piccola comunità, in realtà si tratta di spazi aperti capaci di convogliare
informazioni anche verso utenti con i quali non si ha relazione, dando luogo a possibili
“effetti collaterali” anche a distanza di anni.
Quando i dati personali sono inseriti nei vari form di ingresso oppure vengono
“postati” nelle bacheche del social network prescelto, se ne perde presto il controllo.
Così quegli stessi dati possono essere utilizzati, rielaborati e diffusi anche dopo molti
anni, all’insaputa del soggetto a cui quei dati si riferiscono.
La Rete è un potentissimo veicolo di diffusione delle informazioni e consente di
comunicare in modo veloce e capillare. Tuttavia quando il contenuto diffuso è dannoso il
vantaggio di questo tipo di comunicazione sociale può trasformarsi, al converso, in un
grave problema.
In ogni caso, l’avvento dei social network non ha costituito una reale novità sul
fronte della coltivazione dei rapporti sociali in Rete, visto che da decenni sono disponibili
sul Web spazi di socialità come bacheche elettroniche, chat, forum. La vera innovazione
introdotta dai social network invece è stata quella di amplificare enormemente queste
relazioni, rendendole meno volatili e più radicate, oltre a fornire strumenti di gestione
estremamente efficaci della propria immagine e del proprio ruolo sociale online.
Per concludere questa breve analisi-riflessione sul rapporto tra comunicazione e
mass media visti soprattutto dal “punto di vista” della televisione e dei social network,
vorrei evidenziare come in una situazione come quella attuale di abbondanza delle fonti
di informazioni tre sembrano essere le tendenze emergenti nella struttura e nel
funzionamento del sistema della comunicazione di massa. Da una parte si assiste ad un
processo di globalizzazione che si fonda sia sulla circolazione universale di stessi
contenuti, sia sulla diffusione planetaria di concentrazioni di proprietà, strutture, assetti
organizzativi deputati all’informazione di massa. Allo stesso tempo questa abbondanza di
fonti di informazione determina un effetto di frammentazione dell’offerta informativa e del
pubblico che ha la conseguenza di determinare polarizzazione sociale e politica,
alimentando, al contempo, fratture sempre più profonde fra un pubblico di massa,
maggiormente esposto a contenuti di facile consumo, e un pubblico più propenso a
recepire messaggi selettivi e forse più sofisticati. La terza tendenza concerne il fenomeno
noto come “disintermediazione”, nel senso che il pubblico può oggi accedere
direttamente alle fonti di informazione senza quello che era considerato prima il
necessario apporto di intermediari, come per esempio giornalisti e altri professionisti
della comunicazione. Chiaramente questo non accade ovunque, ma soltanto nel mondo
libero, privo di regimi totalitari che ancora controllano, in alcuni Paesi, le fonti di
informazione di massa e i loro contenuti.
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Tutto sommato quello che si presenta davanti a noi a proposito della comunicazione
di massa è un quadro variegato in cui i pensieri più ottimistici si confrontano in ugual
misura con quelli più pessimistici. D’altra parte è un dato ormai incontestabile il ruolo
svolto da Internet come strumento di mobilitazione e partecipazione politica, effetto che
altrimenti svanirebbe a fronte della progressiva decontestualizzazione del messaggio
politico causata dagli altri mass media, in primis la televisione. E’ altrettanto vero che
l’esperienza digitale diviene , in determinati contesti, ulteriore strumento di separazione e
distinzione – il c.d. fenomeno del digital divide – contraddicendo la tendenza alla
globalizzazione e al cosmopolitismo indotto dalle nuove tecnologie.
Non ci rimane, quindi, che attendere cosa ci riserverà il futuro…
©Giuseppe Joh Capozzolo, 2018
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